IL MANIFESTO DE IL TIMONE PER L’ITALIA
(una bozza, perché siamo aperti ai contributi che ci verranno inviati dai cittadini)
MODERNIZZARE LO STATO
La destra deve impegnarsi per costruire uno Stato leggero, secondo i principi della dottrina liberale. I cittadini devono essere liberi. Lo Stato non deve invadere continuamente il terreno delle scelte individuali. Uno Stato più leggero costa di meno, e impone (di conseguenza) meno tasse. La destra deve puntare a un drastico snellimento della burocrazia, e a una maggiore semplicità nelle regole. Questa è la chiave di ogni spending review. Le riduzioni di spese non si ottengono con il gioco delle tre carte, limitandosi a spostare le tessere di un puzzle. Lo Stato (più leggero) deve costare di meno, e funzionare meglio.
E RENDERLO SOLIDALE
Il mancato sostegno alla famiglia, lo scollamento tra servizi sociali sanitari e riabilitativi, la difficoltà di trovare lavoro e alloggio, i finanziamenti a pioggia che non promuovono una vera soluzione dei problemi, l’assistenzialismo, la difficoltà di mobilità, sono problemi che colpiscono tutti cittadini ma in particolare i cittadini maggiormente svantaggiati. Un capitolo irrinunciabile di ogni documento programmatico deve assicurare il diritto alla vita. Senza garantire il diritto alla vita in tutte le sue stagioni, dal grembo materno alla quarta età, non si può parlare di politica.
DIFENDERE LE NOSTRE QUALITÀ
Il patrimonio artistico (e turistico) italiano è la nostra risorsa principale. Va difeso e valorizzato al massimo. Ma, fino ad oggi, si è fatto poco o nulla per esaltarlo (e monetizzarlo). La sinistra è da sempre fautrice di una cultura di parte, asservita a una visione dello Stato che non mira a premiare i valori della tradizione e della Storia, ma soltanto a indirizzare la pubblica opinione verso la difesa delle proprie idee, e dei propri interessi. Il rilancio della bellezza italiana passa attraverso una rete di infrastrutture e servizi indispensabile per includere nel dibattito le tante realtà, uniche ed eccezionali, sparse nel territorio e, troppo spesso, irraggiungibili o dimenticate.
Una tutela moderna ed efficace del paesaggio e del territorio, senza pregiudizi ideali, prevede la consapevolezza che solo l’Italia è in grado di generare una simile ricchezza e varietà di proposta. Il ritorno ai mestieri ed alla tradizione agricola italiana deve essere, con la giusta incentivazione ed una tassazione adeguata, la spinta propulsiva al nostro futuro.
La nostra industria, la nostra manifattura, i prodotti della nostra terra non possono essere svenduti e delocalizzati, ma protetti e promossi come eccellenza in tutto il mondo. Nello scorso aprile il parlamento di Strasburgo ha approvato in sede plenaria un regolamento che rende obbligatorie le etichette “Made in” per i prodotti non alimentari venduti nel mercato comunitario: in pratica vestiti, automobili, oggetti di design e altre merci no-food dovranno avere la targhetta che specifica la nazione di provenienza del prodotto (secondo la proposta approvata, i produttori Ue potranno scegliere se mettere sull’etichetta la dicitura “Made in Eu” oppure il nome del loro Paese). Una vittoria del fronte Italia-Spagna-Francia, particolarmente interessate ad avere un’etichetta che certifichi l’origine delle loro merci (in particolare nel settore moda e lusso), e la sconfitta del fronte opposto composto da Paesi del nord e dell’est Europa, tra cui la Germania (che sono in linea di massima importatori e assemblatori di materiali altrui) avrebbe risultati importantissimi per le nostre imprese. Il problema è che manca il via libera del Consiglio dove storicamente queste proposte si sono sempre infrante. Ebbene abbiamo un’occasione unica: il voto coinciderà – se si avrà la forza di farlo calendarizzare in tempi rapidi – con il semestre di presidenza italiano. Si tratta di un passo fondamentale per la competitività delle nostre imprese e la tutela dei consumatori. Un aiuto più che mai atteso dalla nostra economia reale.
DIFENDERCI, QUANDO È NECESSARIO
Proponiamo il ripristino del reato di immigrazione clandestina. In un momento nel quale il 13 per cento degli italiani è senza lavoro, è assurdo che si debba subire la concorrenza spietata degli immigrati, o che si sia costretti a mantenerli. Si deve pretendere dall’Europa che il peso dell’immigrazione non gravi unicamente sull’Italia. Frontiere aperte in tutti i 27 Paesi anche per i rifugiati politici. Queste non sono posizioni razziste, ma rispondono all’esigenza di difendere noi stessi. In Italia ci sono ufficialmente 5 milioni e 100mila immigrati (nella realtà almeno un milione in più), di questi 2 milioni e mezzo non lavorano. Secondo il ministero del Welfare nel secondo trimestre 2013 i lavoratori stranieri in cerca di lavoro sono circa 500mila e sempre secondo il ministero sono già troppi e non c’è bisogno di ulteriore manodopera che andrebbe semplicemente a ingrossare le fila della disoccupazione, già oggi appesantita dalla concorrenza degli immigrati. L’Italia non è nelle condizioni di sostenere flussi migratori che prevedono un aumento della popolazione di circa un milione di unità ogni 3-4 anni. Sono numeri che non consentono già oggi una integrazione.
GARANTIRE LA SICUREZZA AI CITTADINI
La sicurezza è un diritto che non può essere annientato da una falsa concezione dell’accoglienza (chi viene accolto nel nostro Paese deve rispettare le nostre regole) o dal lassismo demagogico imperante.
Bisogna agire a favore della sicurezza personale, di quella ambientale (ponendo fine, tra l’altro, allo scandalo dei rifiuti), di quella alimentare. Le regole di Bruxelles pretendono di scegliere i componenti del lardo di Colonnata o impongono limiti alla produzione di prodotti che hanno reso famosa l’Italia nel mondo, ma non impediscono l’invasione delle mozzarelle che provengono dall’estremo oriente, o al peperoncino artificiale che arriva da chissà dove.
Occorre intensificare la lotta alla droga (sulla quale, invece, è stata abbassata la guardia con l’abrogazione della legge Fini-Giovanardi), una piaga che uccide soprattutto i giovani, e che deve essere combattuta riportando nelle aule parlamentari una legislazione non permissiva, ma di assoluta severità nei confronti dei consumatori e, soprattutto, degli spacciatori.
Le forze dell’ordine sono una risorsa del Paese e non possono essere oggetto di processi ideologici e fuorvianti. Deve essere difeso ed esaltato il ruolo delle forze dell’ordine, troppo spesso infangate, e accusate ingiustamente di violenze nei confronti degli eversori e dei criminali. Se un poliziotto sbaglia, sia condannato. Ma l’istituzione va difesa, sempre e comunque. Lo stesso discorso vale per le forze armate che, attraverso un numero di effettivi ridotto ma altamente specializzato, permettano all’Italia di rafforzare le proprie capacità, quale media potenza regionale (sia nel Mediterraneo sia nell’Europa), per la salvaguardia del territorio, della democrazia e della civile convivenza dei popoli. Basta, quindi, con la continua denigrazione dei nostri Corpi Militari, pilastri fondamentali della nostra democrazia ed eccellenze assolute nei casi di intervento umanitario e di tutela del territorio.
GARANTIRE E DIFENDERE LA LEGALITÀ
La legalità è un principio non negoziabile, con una giustizia giusta e delle pene effettive. La lotta alla criminalità organizzata non deve avere sosta, con un maggiore inasprimento dei controlli finanziari e la confisca effettiva dei beni (da rivedere completamente il farraginoso meccanismo della loro gestione e della funzionalità delle imprese sequestrate, per non dilapidare un immenso patrimonio che appartiene alla collettività).
Riforma della giustizia. Se ne parla da decenni, ma non è mai stata attuata. È fondamentale disporre la separazione delle carriere (per mettere finalmente la difesa e l’accusa in condizioni di parità), introdurre la responsabilità civile dei magistrati (inutilmente votata molti anni fa in un referendum). E, infine, è indispensabile cancellare l’obbligatorietà dell’azione penale, che consente ai magistrati una totale discrezionalità sui reati da indagare e su quelli da dimenticare. La riforma deve riguardare anche la giustizia civile, che (con la sua lentezza e i suoi percorsi labirintici) è una delle cause principali dell’assenza di investimenti stranieri.
RICREARE UN CLIMA DI ONESTÀ NEL PAESE
Gli scandali più recenti (l’Expo di Milano e il Mose di Venezia) hanno riproposto in termini drammatici il problema della corruzione generalizzata non soltanto nella casta dei politici ma anche ai vertici della pubblica amministrazione. Noi che siamo stati estranei a questa piaga fin dai tempi di Tangentopoli dobbiamo essere in prima linea nel denunciare (pur essendo garantisti fino alle sentenze definitive) il malcostume diffuso e le cause di esso. L’eccesso di leggi e regolamenti che regolano il sistema degli appalti pubblici crea un autentico labirinto che rinvia alle calende greche la completa esecuzione delle opere commissionate, giustificando l’aumento abnorme dei costi, l’intervento dei committenti per aggirare gli ostacoli, e le ricompense in nero a chi ha in mano il filo di Arianna che conduce all’uscita. Il Mose doveva costare un miliardo di euro: il costo si è sestuplicato con il tempo (e con le giustificazioni appena elencate). A guadagnarci, alle spalle dei contribuenti, ci sono gli imprenditori che eseguono i lavori e gli intermediari che speculano sugli ostacoli artatamente disseminati lungo il cammino. Se le procedure fossero semplificate, e le regole imponessero alle imprese di rispettare i tempi di consegna (in quel caso facilmente osservabili), la corruzione diventerebbe fisiologica, come negli altri Paesi del pianeta, e non patologica come è oggi in Italia. Occorre poi insegnare i il valore dell’onestà alle giovani generazioni, perché rifiutino l’idea che per sopravvivere è indispensabile rubare.
RIDARE SLANCIO ALL’ECONOMIA
È indispensabile, innanzitutto, pretendere che l’Europa abbandoni la linea del rigore che ha messo in ginocchio non soltanto l’Italia, ma la maggior parte dei Paesi che aderiscono alla Ue. Si deve rimettere in discussione il fiscal compact e la logica ragionieristica del rapporto fra deficit e Pil. Il semestre di presidenza italiana è un’occasione per convincere gli euroburocrati ad abbandonare la loro inflessibile politica che deprime le economie degli Stati membri. È molto difficile, tuttavia, che il governo attuale, che ha nel Pd il suo pilastro fondamentale, possa ergersi a difensore del liberismo economico.
Occorre abolire il mito del posto fisso, abbandonato da anni negli altri Paesi più industrializzati. La mobilità del lavoro agevola l’ingresso dei giovani e favorisce il riciclo di chi è rimasto disoccupato. I contratti a tempo indeterminato sono un nonsenso nell’era della globalizzazione, che impone di adeguare le scelte alle logiche di mercato. Le aziende decotte devono essere chiuse. Le start up devono essere incoraggiate. Deve anche essere rivista la cassa integrazione, mettendo in mobilità chi ne usufruisce, e privandolo dei benefici se rifiuta le opportunità che gli vengono offerte.
Il potere contrattuale e la difesa del diritto al lavoro e del lavoro si esercita attraverso la delega al sindacato, ma la scelta del sindacato deve essere libera in un contesto plurale in cui il lavoratore/cittadino non deve avere condizionamenti e nella consapevolezza di poter sempre esercitare il diritto di interlocuzione e di democrazia diretta all’interno di detti organismi sindacali. Le organizzazioni sindacali devono avere una struttura organizzativa che garantisca i principi basilari di democrazia diretta, di partecipazione e di gestione oculata e trasparente dei fondi derivanti dalle deleghe e dai servizi svolti. Deve essere controllata la capacità del sindacato di avere l’organizzazione e le competenze negoziali per sostenere corrette relazioni industriali. È necessaria una norma di legge che regolamenti la rappresentatività.
Occorre individuare, inoltre, un soggetto indipendente che controlli la reale attuazione dei principi costituzionali e che faccia da interposizione con le imprese per la gestione delle deleghe, evitando che la libera scelta del lavoratore di aderire al sindacato passi attraverso il controllo dell’impresa. L’impresa deve, ovviamente, conoscere l’entità anche numerica dell’organizzazione sindacale ma non i nominativi dei singoli lavoratori aderenti.
RIDURRE LA MORSA FISCALE
Si deve procedere alla detassazione immediata del cuneo fiscale, recuperando risorse dagli sprechi di una cassa integrazione puramente assistenzialistica e dalla voragine dei dibattiti di formazione totalmente inutili ed in mano ai sindacati. Una detassazione (per 5 anni sul fronte previdenziale e assistenziale) deve riguardare anche le assunzioni di disoccupati di lungo periodo, cassintegrati e inoccupati in modo da dare una speranza anche a chi ha 40-50 anni e rischia di uscire dal mondo del lavoro in maniera definitiva. Occorre inoltre applicare il quoziente familiare per una detassazione delle famiglie, e introdurre nuove linee guida nelle graduatorie pubbliche con recupero del valore della famiglia tradizionale (chi è sposato ed ha dei figli ed un reddito normale è svantaggiato rispetto agli altri). Pagare le tasse è un dovere, ma un fisco più giusto è un diritto. La lotta all’evasione deve cominciare dai grandi gruppi industriali e dal melmoso mondo delle transazioni finanziarie. Aboliamo definitivamente la gogna di Equitalia, rendiamo l’accertamento fiscale più in linea con le effettive “volontà” di evasione differenziandole dalla “impossibilità” a pagare di chi le tasse le dichiara fedelmente. È indifferibile la revisione immediata e l’abbattimento drastico del limite delle soglie di usura, con provvedimenti sanzionatori per le Banche e le Finanziarie che ancora oggi strozzano le imprese, le famiglie, il credito al consumo.
OFFRIRE UNA SPERANZA AI GIOVANI
La formazione, la scuola, l’università, la ricerca costituiscono i volani di crescita e di costruzione di un futuro migliore per i nostri figli. Devono essere aboliti i test di ingresso universitari e va adottato un modello meritocratico di selezione. Deve essere ripristinata immediatamente la detassazione dei redditi per le nuove imprese giovanili. Deve essere facilitato l’accesso al credito per i giovani nelle more di un contesto lavorativo profondamente cambiato. Lo Stato deve garantire un accesso facilitato ai dibattiti di finanziamento della Unione Europea promossi dai Giovani.
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